martedì 6 marzo 2012

Il Papa: I cristiani ora possono vedere nell'atto di spezzare il pane compiuto da Gesù un'immagine dell'ospitalità di Dio, nella quale il Figlio incarnato dona se stesso come pane di vita (Prefazione al libro del card. Cordes)

In un libro del cardinale Cordes il Papa spiega il senso della vita cristiana
Pane spezzato per gli altri

Pubblichiamo la prefazione scritta da Papa Benedetto XVI al libro del cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio Consiglio «Cor Unum», L'aiuto non cade dal cielo. Caritas e spiritualità (Siena, Cantagalli, 2011, pagine 160, euro 16, traduzione di Jörg Schwipper, «Cristianesimo e cultura» 16).

Nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, san Luca descrive la Chiesa nascente con quattro caratteristiche che ne connotano la vita: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (Atti, 2, 42). Alcuni versetti dopo, Luca ritorna nuovamente su quanto aveva detto: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (Atti, 2, 46). Lo spezzare il pane, nominato due volte, appare come elemento centrale della comunità cristiana e ci ricorda l'incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus (Luca, 24, 30 ss.), che a sua volta ci rimanda all'ultima cena (Luca, 22, 19). Questa è una parola che nella molteplicità dei suoi significati lascia trasparire il centro portante e al tempo stesso tutta l'ampiezza dell'esistenza cristiana.
Certo, essa si riferisce innanzitutto a qualcosa di molto semplice, di quotidiano. Nel mondo ebraico era compito del padrone di casa spezzare il pane dopo una preghiera e distribuirlo tra i commensali; questo sia durante pranzi familiari, o convivi, che in occasione di pasti di carattere rituale, come la sera della Pesah. Gesù padrone di casa e ospite paterno dei suoi ha raccolto questa usanza la quale, nella cena alla vigilia della sua agonia, acquista tuttavia un nuovo significato. Infatti, in quell'ora, Gesù non distribuisce solo pane, ma se stesso: Egli si dona.
Già nel pasto quotidiano lo spezzare il pane ha un doppio significato: è allo stesso tempo un gesto di condivisione e di unione. In virtù del pane condiviso la comunità a tavola diventa una: tutti mangiano dello stesso pane. La condivisione è un gesto di comunanza, di donazione, che rende partecipi della famiglia anche gli ospiti. Questo condividere e unire raggiunge nell'ultima cena di Gesù una profondità mai immaginata prima. Nello spezzare il pane egli compie quel «li amò sino alla fine» (Giovanni, 13, 1) in cui egli dona se stesso e diventa pane «per la vita del mondo» (Giovanni, 6, 51).
Evidentemente il particolare gesto con cui Gesù spezzò il pane è penetrato profondamente nelle anime dei discepoli, come possiamo evincere dal racconto dei discepoli di Emmaus. Ricordando quel gesto, essi vi hanno visto racchiuso tutto il mistero della consegna di sé messa in atto da Gesù.
L'espressione «spezzare il pane» nella Chiesa nascente andò così a designare l'Eucaristia, dunque ciò che la caratterizzò e la tenne unita come nuova comunità.
Dal ricordo dell'ultima cena però emergeva anche chiaramente che l'Eucaristia è più di un semplice atto di culto che si esaurisce nella celebrazione liturgica. Lo spezzare il pane era di per sé un'immagine di comunione, dell'unire attraverso la condivisione.
I cristiani ora possono vedere nell'atto di spezzare il pane compiuto da Gesù un'immagine dell'ospitalità di Dio, nella quale il Figlio incarnato dona se stesso come pane di vita. Di conseguenza la frazione del pane eucaristico deve proseguire nello “spezzare il pane” della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere quanto si possiede, a donare e così unire.
È semplicemente l'amore in tutta la sua immensità che si manifesta in questo gesto, e con esso il nuovo concetto cristiano di culto e di cura per il prossimo: l'Eucaristia deve divenire “spezzare il pane” a tutti i livelli, altrimenti il suo significato non si compie. Deve divenire diaconìa, servizio e dono nella vita quotidiana.
E specularmente la premura sociale della caritas non è mai solo agire pragmatico, bensì sorge dalle radici profonde della comunione con il Signore che si dona, dalla dinamica dell'amore partecipe di Dio per noi.
Mi rallegro che il cardinale Cordes abbia raccolto e spiegato, con grande energia, l'impulso che ho cercato di avviare con l'enciclica Deus caritas est. Saluto come parte della sua fatica questo suo libro L'aiuto non cade dal cielo. Caritas e spiritualità, in cui viene mostrato da varie prospettive quanto è racchiuso nella parola fondamentale caritas - amore. Perciò auguro a questo libro l'ascolto attento che penetra nei cuori e, andando oltre la ricezione e la lettura, conduce ad agire con amore e a una comunione più profonda con Gesù Cristo.

(©L'Osservatore Romano 5-6 marzo 2012)